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casa rossini esterno

Casa museo rossini a lugo

Storia di Gioacchino

C’era una volta un bambino, che si chiamava Gioacchino, che amava molto la musica.

La sua mamma era una brava cantante lirica, il suo papà suonava nella banda cittadina e in alcune orchestre locali.

Anche lui iniziò a studiare musica e a 18 anni debuttò come compositore. Il bimbo di cognome faceva Rossini e, anche se nato a Pesaro, trascorse alcuni anni della sua adolescenza a Lugo, paese non distante da Ravenna, dove vivevano i suoi nonni.

La casa, su due piani, è stata di recente restaurata e adibita a museo multimediale.

la casa museo

Nella prima stanza (che nel percorso espositivo sarebbe l’ultima), è stata ricreata una dispensa virtuale dove aprendo i cassetti si ascoltano le composizioni scherzose dedicate al cibo (Rossini era famoso buongustaio).

Salendo, ci attende il Prodigio: 4 libretti, che aperti uno a uno, risuonano di una singola linea melodica ma aperti tutti insieme avvolgono lo spettatore nella musica, in un’esperienza quasi tattile, non solo uditiva.

Le tante opere del compositore sono state ordinate in una mappa nella terza stanza e sono state rinchiuse sotto campane di vetro. Per liberarle e lasciar sprigionare le note, basta alzarle e avvicinare l’orecchio.

L’ultima sala si chiama Risonanza: sono le parole che scrittori, musicisti, filosofi, scienziati di tutto il mondo hanno dedicato al talento di Rossini.

Un museo piccolo ma curatissimo, un’esperienza magica, coinvolgente e inaspettata, per cultori della musica e non, apprezzabile anche dai bambini per la forte componente tattile e interattiva.

Qui trovate le informazioni pratiche e gli orari: https://casarossinilugo.it/

Purtroppo nonostante il grande impegno (e certamente la grande quantità di denaro pubblico) profuso per l’allestimento, la creazione di un sito, il catalogo, l’apertura dei canali social, il museo è aperto solamente nei weekend per una manciata di ore.

i volontari sono davvero un valore aggiunto?

Apro una parentesi, che riguarda molti piccoli musei, ovunque, ma in Romagna più che altrove: l’apertura al pubblico è ridottissima e garantita unicamente dalla presenza di volontari.

Sono certa che la motivazione che spinge al volontariato sia nobile: dare la possibilità alla comunità di fruire di un bene culturale che in alternativa sarebbe chiuso. Ma siamo sicuri che sarebbe davvero così? O le istituzioni si crogiolano in questa disponibilità, evitando di porsi il problema della gestione e dell’assunzione di personale qualificato?

Il problema dell’occupazione nell’ambito culturale in Italia è drammatico: a fronte di un patrimonio storico, artistico, architettonico, scientifico ineguagliabile, il lavoro in questo ambito viene costantemente sminuito, degradato, sottopagato o non pagato affatto, trattato alla stregua di un hobby, che qualsiasi pensionato può fare in alternativa al giardinaggio.

Negli ultimi anni ho lavorato spesso con piccoli comuni e unioni di comuni. Ho maturato la convinzione che, se non ci fossero volontari disposti ad aprire gratuitamente musei e luoghi di cultura, le istituzioni, a fronte delle ovvie rimostranze delle forze politiche avversarie, sarebbero costrette ad affrontare seriamente la questione e a prendere provvedimenti adeguati.

Vorremmo vedere più nonni accompagnare i nipotini nei musei e meno in biglietteria!